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Ma che cos’è davvero la “Dignità” del morire?

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Caro Dott. Vescovi….





le ultime vicende hanno portato
prepotentemente all’attenzione dell’opinione pubblica il tema e la questione
del fine-vita e della "qualità di vita", termine straabusato, dei pazienti gravi.
Le confesso:seguo mio padre Alzheimer da molti anni e mi sono sentita offesa
dalle argomentazioni di qualcuno( nei maledettissimi talk show) che esprimeva
con incredibile tranquillità il pensiero di come la vita di un anziano grave o
gravissimo non sia più "degna" di essere vissuta. Il succo era questo. La vita
di mio padre ha per me, e lo dico forte, un valore incommensurabile. Ancor di
più adesso che lo vedo così fragile e bisognoso di attenzioni, d’amore e di
affetto. Non posso dimenticare quanto quell’uomo oggi così lacerato dalla
malattia ha fatto nella sua vita. A mio modo di vedere è questa società che non
attribuisce valore e "dignità" agli anziani non autosufficienti e a chi non ha
voce per farsi sentire e per reclamare i propri diritti. Che cosa ne pensa? E
mi faccia il piacere di alzare la voce!

Rosanna.
 




Un  aspetto  richiamato dalla tematica del fine-vita e di
condizioni di malattia estreme è quello che, in occasione della vicenda di
Eluana è stato più volte, e spesso impropriamente, definito il problema della "dignità" dell’esistenza. L’aggettivo "degno", il suo opposto
"indegno", insieme al sostantivo "dignità" sono stati infinitamente abusati in
relazione alla condizione di persone che hanno perso coscienza, consapevolezza
di sé, capacità e autonomia, giungendo a comprendere in un’unica, dolente
schiera soggetti in coma vegetativo o irreversibile, anziani in stati di senectus avanzata, malati di Alzheimer,
disabili.

Va
ricordato che la vita di ogni essere umano, in qualunque condizione a questi
sia dato di trovarsi, ha sempre in sé la DIGNITA’. Non è la vita a perdere di dignità
per effetto della malattia o del venir meno o dalla perdita assoluta o totale
di capacità intellettiva, comunicativa, relazionale. Non sono mai la malattia, l’handicap, a togliere dignità alla persona e alla sua esistenza. Non c’è
condizione di vita non autosufficiente né consapevole, in un letto di ospedale
o della propria casa che debba essere, in quanto tale e a priori, da ritenere
"non dignitosa". Al contrario, è la
mancanza o la carenza di gesti d’amore, di disponibilità, di delicatezza, di
accoglienza e accettazione di quella particolare condizione da parte di chi
si prende cura di una persona – non di un corpo e basta – che non può più
disporre, ad ogni livello, di sé a minacciare la dignità di quella esistenza,
talvolta a negare la dignità. Si dovrebbe poter scegliere ed
esprimere la propria decisione di non languire in un letto, privi di coscienza
di sé, rifiutando consapevolmente anche idratazione e alimentazione (optando
magari per la scelta di donare i propri organi ancora vitali ad un altro essere
che possa recuperare salute),ma non spinti dall’orrore che suscitano le
tante e troppe immagini di corpi in un letto sui quali mani frettolose,
indifferenti, non amorevoli agiscono senza rispetto. Si dovrebbe poterscegliere quali e quante cure accettare per sé non per il timore di
divenire un "corpo" da maneggiare, da pulire con fastidio, ma solamente spinti
dalla convinzione personale di non volere per sé la conservazione della
esistenza in vita ad ogni costo. La fine della vita come il termine di un ciclo
biologico, come un fiore che, appassito, raggrinzisce per chiudere così la
propria esistenza. Davvero non siamo più in grado di comprendere la bellezza di
quel fiore, che così bello nella sua propria stagione,dopo essersi
generosamente offerto "pensa"che sia giusto andarsene?

E’
indispensabile, e cogente, che accanto alle riflessioni sul testamento
biologico ne vengano fatte altre, concretamente seguite da misure di aiuto e di sostegno alle persone – familiari o operatori di strutture assistenziali – che si
prendono cura dei malati o degli anziani più fragili, affinché nel percorso
assistenziale di questi ultimi vi siano innanzitutto amore, attenzione,
accettazione e disponibilità di mezzi, 
strumenti e risorse che rendano l’assistenza, concretamente e realmente
"degna" e rispettosa. Anche questo va nelsenso delladifesa e della affermazione della cultura della vita e della dignità di ogni esistenza.
Dott. Maurizio Vescovi
 
 
Fonte: La Voce di Parma – settimanale di attualità

 

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